CBD : storia, studi, proprietà terapeutiche e patologie che ne beneficiano
Cos'è il CBD? Come mai improvvisamente è sulla bocca di tutti?
Un piccolo sunto lo troviamo su Wikipedia.it: CBD è l’acronimo di cannabidiolo, metabolita della più famosa
Cannabis, di cui è la seconda sostanza più abbondante, dopo il THC. A
differenza di questo, però, il CBD non è psicoattivo, non crea
assuefazione e possiede notevoli capacità rilassanti, antinfiammatorie e
antidolorifiche, tanto da suscitare sempre maggiore interesse da parte
della comunità scientifica.
Ma il CBD non è solo questo: un resoconto della World Health Organization (in italiano l'OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità) afferma che non ci sono ne rischi ne controindicazioni per la salute se si assume CBD e che i benefici sono estremamente interessanti: le patologie che giovano della sua assunzione sono diverse ed in molte di esse i risultati sono estremamente significativi.
Ecco una tabella sempre tratto dal resoconto della
World Health Organization
che riassume patologie ed effetti su di esse:
Di seuito vi riporto l'articolo del giornalista Mario Catania tratto da qui sul sito di dolcevitaonline.it: è molto esaustivo, approfondisce il tema terapeutico del CBD con i riferimenti originali a studi e ricerche su di esso.
Il CBD è il cannabinoide al centro della ricerca scientifica odierna e che ha portato una vera e propria rivoluzione nel mondo della cannabis. Oggi infatti la maggior parte delle grandi seedbank a livello mondiale propongono diverse versione degli strain (tipologie di semi di cannabis) che le hanno rese celebri, arricchite con diverse percentuali di CBD e il cannabinoide è stato sdoganato sia nell’utilizzo a livello medico, che all’interno di decine di prodotti commerciali che vengono venduti in diversi Paesi a seconda della propria legislazione.
Il CBD venne isolato per la prima volta da un gruppo
di ricercatori del Dipartimento di Chimica dell’Università
dell’Illinois nel 1940, si tratta di Roger Adams, Madison Hunt e J. H
Clark. Ma ci sono voluti altri 23 anni affinché il dottore Raphael Mechoulam,
considerato il padre della ricerca sui cannabinoidi, ne identificasse
la struttura esatta nel 1963 insieme ai suoi collaboratori. L’anno
successivo lo stesso dottor Mechoulam isolò per la prima volta il
delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) aprendo nuovi campi di ricerca per la
cannabis in medicina. In un’intervista rilasciata nel suo studio all’Università di Gerusalemme a Dolce Vita ha spiegato che : “La ricerca scientifica moderna ha dimostrato che il CBD è completamente atossico e sicuro”,
sottolineando che: “In uno studio clinico sui suoi potenziali effetti
benefici nel trattamento della schizofrenia, è stato somministrato ai
pazienti in dosi da un grammo senza che fosse riscontrato nessun effetto
collaterale”.
Gli effetti anticonvulsivanti del CBD sono noti a livello scientifico dal 1973, quando i ricercatori Carlini, Leite, Tannahuser e Berardi, pubblicarono uno studio che mostrava come il cannabinoide bloccasse le convulsioni nei ratti. Effetto che fu confermato a livello clinico, e quindi su pazienti con altri studi, alcuni eseguiti anche dal dottor Mechoulam, alla fine degli anni ’70. Anche se la maggior parte delle persone che ricevette una dose del composto provò alcuni miglioramenti, i risultati non potevano considerarsi ancora definitivi. A metà degli anni ’70, ulteriori studi clinici indagarono in altre aree mediche: sia sulle sue proprietà ansiolitiche che su quelle antiemetiche. Durante questi anni vennero scoperti anche gli effetti sedativi del composto prima in ricerche sugli animali, poi confermate da vari studi clinici che dimostrarono che il suo utilizzo migliorava il sonno in pazienti con problemi di insonnia.
Oggi i due grandi campi di indagine sulle proprietà terapeutiche del CBD sono quello del trattamento delle psicosi e del suo utilizzo come sostanza anti convulsivante specialmente in forme di epilessia pediatrica farmaco-resistente, ma il potenziale utilizzo terapeutico del CBD è stato evidenziato in un gran numero di malattie e sintomi, tra i quali distonia, diabete, malattie infiammatorie, morbo di Alzheimer e malattie della pelle.
Epilessia refrattaria
L’ennesima prova scientifica degli effetti benefici del CBD in casi di epilessia pediatrica resistente ai farmaci tradizionali, è arrivata da uno studio scientifico da
poco pubblicato sulla rivista Epilepsy & Behavior, realizzata dai
ricercatori dell’ospedale pediatrico del Centro medico universitario di
Lubiana, in Slovenia.
Secondo un’analisi dei dati di 66 bambini con epilessia, che hanno
ricevuto una dose giornaliera di almeno 8 mg di CBD per kg di peso
corporeo in aggiunta ai farmaci standard che già assumevano, il 48,5% ha avuto un miglioramento di oltre il 50% riguardo il numero delle convulsioni, il 21,2% non ha più avuto convulsioni.
Gli autori hanno concluso che “il CBD è risultato avere potenziali benefici come terapia aggiuntiva per l’epilessia refrattaria durante l’infanzia, principalmente riducendo il numero di crisi“.
Alzheimer
Dalla cannabis può arrivare un aiuto per trattare l’Alzheimer: i suoi componenti infatti combattono e aiutano ad eliminare la proteina tossica beta amiloide, che causa questa forma di demenza. Lo sostiene uno studio i cui risultati preliminari sono stati pubblicati sulla rivista Aging and Mechanisms of the Disease, partner della celebre rivista scientifica Nature,
dai ricercatori del Salk Institute in California. Anche se già altri
studi avevano dimostrato che i cannabinoidi possono avere un effetto
neuroprotettivo contro i sintomi dell’Alzheimer, aggiunge David
Schubert, coordinatore dello studio, “il nostro è il primo a dimostrare
che hanno effetto sia sull’infiammazione che sull’accumulo di beta
amiloide nei neuroni”. Lo studio è stato condotto su neuroni coltivati
in laboratorio ma secondo gli autori questa scoperta potrebbe aprire la
strada allo sviluppo di nuove armi terapeutiche contro la malattia: ad
ogni modo i ricercatori invitano alla cautela, sottolineando che i
cannabinoidi dovranno essere testati all’interno di trial clinici.
Secondo uno studio del 2014 pubblicato sulla rivista European Journal of Medicinal Chemistry dai ricercatori dell’Istituto di Medicina del Consiglio superiore di ricerca scientifica spagnolo (CSIC), i cannabinoidi possono migliorare la vita
dei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer. I cannabinoidi agiscono su
percorsi specifici presenti anche nel cervello chiamati recettori e,
secondo il team, precedenti studi sul ruolo dei cannabinoidi nel morbo
di Alzheimer suggeriscono una serie di vantaggi. Nei recettori CB1 la loro attività sembra preservare le funzioni cognitive mentre nei recettori CB2 può aiutare a proteggere il cervello.
Parkinson
Secondo uno studio del 2014, condotto da un team di ricercatori brasiliani e pubblicato sul Journal of Psycopharmacology, il trattamento giornaliero a base di cannabidiolo ha migliorato il benessere e la qualità di vita
di alcuni pazienti affetti da morbo di Parkinson. A 21 pazienti sono
state somministrate capsule di gelatina contenenti CBD, per un periodo
di 6 settimane. Le dosi erano tre: 300mg al giorno, 75mg al giorno ed un
placebo. I migliori risultati sono stati registrati sui pazienti che
avevano assunto la dose da 300mg. Secondo i ricercatori: “I nostri
risultati indicano un possibile effetto del CBD nel migliorare la
qualità della vita nei pazienti con Pakinson senza comorbidità
psichiatriche; tuttavia, sono necessari studi con campioni più grandi e
obiettivi specifici prima di poter trarre conclusioni definitive”.
Sclerosi multipla
Nel 2014 è stato pubblicato su Neurology uno
studio che ha preso in considerazione 2.608 ricerche per arrivare ad
affermare che alcuni tipi di cannabis terapeutica (per via orale, in
pillole o spray), “siano in grado di attenuare sintomi della
grave patologia che vanno dalla spasticità muscolare ai dolori, per
arrivare all’incontinenza urinaria”. Lo ha spiegato il dottor Pushpa Narayanaswami, professore
di neurologia presso la Harvard Medical school e autore dello studio,
sottolineando che: “Volevamo capire a che punto fosse la letteratura
scientifica sul tema per poter aiutare al meglio dottori e pazienti”.
il Sativex, farmaco orale a base di cannabis disponibile anche in Italia
per combattere la spasticità muscolare dovuta alla malattia, nonostante le polemiche – in Italia e non – a causa dell’alto costo, è stato approvato in oltre 30 Paesi e in un recente studio scientifico è stato definito come “una buona alternativa ai
trattamenti standard in quanto migliora la spasticità nella sclerosi
multipla refrattaria ed ha un profilo di tossicità accettabile”; e in un altro studio si spiega che: “Nel dolore neuropatico periferico, l’estratto di cannabis Sativex può causare miglioramenti clinicamente importanti nel dolore e nella qualità del sonno”.
Malattia di Huntington
Sulla base di risultati preliminari incoraggianti, il cannabidiolo è
stato valutato per l’efficacia e la sicurezza sintomatica in 15 pazienti
liberi da neurolettici affetti dalla malattia di Huntington (HD). Il
CBD non causa nessuno degli effetti collaterali negativi dei farmaci
attualmente usati per ritardare la morte nei pazienti con malattia di
Huntington, e ha diversi meccanismi di azione altamente efficaci che
possono rallentare la patologia e alleviare i sintomi acuti. Sono
necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno gli effetti del
CBD ma uno studio recente fornisce
prove precliniche a sostegno di un effetto benefico del Sativex,
farmaco a base di THC e CBD in proporzione 1:1, come un agente
neuroprotettivo in grado di ritardare la progressione della malattia.
Dolore cronico e neuropatico
Il
CBD, così come il THC ed altri cannabionidi, si è rivelato efficace nel
contrastare il dolore cronico e neuropatico, in una serie di patologie.
Un esempio è il trattamento del dolore associato all’HIV. Dopo aver
seguito 16 pazienti che riferivano benefici riguardo al dolore percepito
dopo aver fumato cannabis per una settimana, i ricercatori
dell’Università di San Francisco, guidati dal dottor Donald Abrams, hanno condotto uno studio
randomizzato con un gruppo di controllo. Sono stati seguiti 56 pazienti
al General Clinical Research Center e i risultati sono stati presentati
nel 2005 ad un congresso della IACM. Nelle conclusioni si spiega che: “L’assunzione di cannabis è efficace nel ridurre il dolore neuropatico cronico così come il dolore acuto.
L’ampiezza della risposta nel dolore neuropatico è simile a quanto
visto con il gabapentin, un farmaco ampiamente utilizzato per la
neuropatia nell’HIV”.
La cannabis in generale, ed anche quella con alto contenuto di CBD, si è rivelata efficace nel trattamento della fibromialgia.
In uno studio con 26 pazienti con fibromialgia,
che erano stati trattati in due ospedali in Israele (Laniado Hospital
di Kiryat Sanz e Nazareth Hospital di Nazareth) la cannabis ha
migliorato i sintomi della patologia. L’età media dei pazienti era di 37,8 anni e il dosaggio medio di cannabis era di 26 grammi al mese. Tutti i partecipanti hanno completato un questionario
per la valutazione della gravità della fibromialgia (Revised
Fibromyalgia Impact Questionnaire). I risultati sono stati pubblicati
sul Journal of Clinica Rheumatology e nelle conclusioni i ricercatori
fanno notare che: “Il trattamento con cannabis medica ha significativi effetti favorevoli sui pazienti affetti da fibromialgia, con pochi effetti collaterali”. Dopo l’inizio del trattamento con cannabis, tutti i pazienti hanno riportato un miglioramento significativo in ogni parametro
del questionario e 13 pazienti (50%) hanno interrotto l’assunzione di
altri farmaci per la fibromialgia. Otto pazienti (30%) hanno avuto
effetti avversi molto lievi. Di recente la Regione Emilia-Romagna è
stato il primo ente pubblico italiano ad aver creato un ampio documento per la diagnosi ed il trattamento della patologia
spiegando che: “Verso il futuro lo sguardo che il gruppo di lavoro
vuole proporre con il documento è rivolto a promuovere e incentivare la ricerca, in particolare sui cannabinoidi
e sulle interazioni con l’alimentazione; unico modo concreto per
rispondere adeguatamente ai bisogni dei pazienti, contrastando l’estrema
proliferazione di fantomatiche cure che danneggiano la salute e il
portafoglio delle persone con fibromialgia”.
In generale diverse recenti ricerche hanno ancora una volta evidenziato
che i cannabinoidi sono degli importanti modulatori del sistema
immunitario e che quindi possono avere un ruolo nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche e secondo uno studio del 2000 il CBD può essere ad esempio efficace per il trattamento del dolore nell’artrite reumatoide.
Autismo
Un estratto di cannabis con alto contenuto di CBD e basse concentrazioni
di THC si è rivelato efficace nell’alleviare i problemi dei bambini con disturbo dello spettro autistico. Sono i risultati del primo studio clinico che analizza gli effetti della cannabis su bambini autistici pubblicati su Neurology.
Fino ad ora le prove che i cannabinoidi possono aiutare a migliorare la
qualità della vita delle persone affette da autismo erano state solo aneddotiche.
In seguito al trattamento con la cannabis, i disturbi comportamentali sono stati migliorati o molto migliorati nel 61% dei pazienti. I problemi di ansia e comunicazione sono stati migliorati nel 39% e molto migliorati nel 47%. I comportamenti di disturbo sono stati migliorati del 29%. I genitori hanno riportato meno stress
come si evince dai punteggi APSI, con un miglioramento del 33%. Gli
autori hanno concluso che: “Questo studio preliminare supporta la
fattibilità della cannabis medica ad alto valore di CBD come un’opzione
di trattamento promettente per i problemi comportamentali refrattari nei
bambini con disturbo dello spettro autistico”.
Psicosi
Nel 2012 il dottor Leweke ha dimostrato nell’uomo che il CBD può essere utilizzato con successo come anti-psicotico
e le conferme sono arrivate da uno studio pubblicato sulla rivista
Neuropsychopharmacology, dove i ricercatori hanno preso in
considerazione 66 studi precedenti su CBD e psicosi e hanno concluso che
il composto offre una serie di vantaggi rispetto ai farmaci attualmente
utilizzati: sembra non avere effetti collaterali evidenti e nessuna dose letale.
La GW Pharmaceuticals ha annunciato l’inizio della seconda fase di test clinici su un farmaco a base di CBD che possa migliorare i sintomi della schizofrenia
e ridurre gli effetti collaterali degli antipsicotici attuali. In uno
studio pubblicato sulla rivista Fundamental & Clinical Pharmacology,
il gruppo di studiosi dell’Università di Medicina di San Paolo ha
scoperto in test sui topi che il CBD può ridurre o bloccare i sintomi del disturbo ossessivo compulsivo.
Ansia, stress e depressione
I ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Haifa hanno spiegato che il CBD potrebbe rappresentare un “nuovo approccio per il trattamento dei deficit cognitivi che accompagnano depressione e altri disturbi neuropsichiatrici legati ad ansia e stress” e sono molti gli studi scientifici che evidenziano le potenzialità di questo composto nella riduzione dei sintomi del disturbo da stress post-traumatico.
Secondo uno studio molto recente condotto da ricercatori della Washington State University di Pullman, USA e pubblicato sul Journal of Affective Disorders la cannabis riduce i sintomi di depressione, ansia e stress.
Utilizzando i dati di un’app hanno analizzato 11.953 sessioni di
cannabis di persone che soffrono di depressione (3151 assunzione di
cannabis), ansia (5085) e stress (3717). L’app (StrainprintTM) fornisce
agli utenti della cannabis medica un modo per tenere traccia dei
cambiamenti nei sintomi in funzione delle diverse dosi e dei ceppi di
cannabis. Gli utilizzatori di cannabis medica hanno percepito una
riduzione del 50% della depressione e una riduzione del 58% dell’ansia e
dello stress a seguito dell’uso di cannabis. Due puff erano sufficienti
a ridurre l’intensità della depressione e dell’ansia, mentre 10 puff o
più producevano le maggiori riduzioni percepite dello stress. I ceppi
con alto CBD e basso THC sono stati associati ai maggiori cambiamenti
nelle valutazioni di depressione, mentre i ceppi con alto CBD e alto THC
hanno prodotto i maggiori cambiamenti percepiti nello stress.
E i ricercatori dell’Università di San Paolo in Brasile, hanno da poco pubblicato una ricerca in cui spiegano che l’utilizzo di CBD per trattare ansia e depressione non altera il sonno. Gli autori, nelle conclusioni dello studio pubblicato su Frontiers in Pharmacology,
hanno scritto che “diversamente dai farmaci ansiolitici e
antidepressivi come le benzodiazepine e gli inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina, la somministrazione acuta di una dose
ansiolitica di CBD non sembra interferire con il ciclo del sonno di
volontari sani. I risultati attuali supportano l’idea che il CBD non
alteri la normale architettura del sonno”.
Cancro
L’utilizzo della cannabis e dei suoi derivati nel trattamento dei sintomi del cancro è già oggi una realtà: funziona per alleviare i disturbi del sonno, il dolore, la debolezza, la nausea e la mancanza di appetito,
tanto che gli oncologi in diverse parti del mondo cominciano ad
affiancare l’utilizzo di cannabis ai trattamenti tradizionali come
chemio e radioterapia.
Ma ci sono evidenze scientifiche, riportate in studi
scientifici effettuati in vitro e su cavie animali, che sostengono che
il CBD ed altri cannabinoidi abbiano la capacità di uccidere le cellule
tumorali in diversi tipi di cancro, senza nessun effetto collaterale su
quelle sane. CI sono studi sul cancro al polmone, sui gliomi e sul cancro al cervello,
ed altri esempi. Di recente in America è stata testata una varietà di
canapa a basso contenuto di THC ed i ricercatori hanno scoperto che
l’aggiunta di varie dosi di estratto di KY-hemp a cellule ovariche in coltura ha portato ad un significativo rallentamento della migrazione cellulare.
Questa scoperta ha indicato che l’estratto potrebbe essere utile per
fermare o rallentare le metastasi e quindi la diffusione del cancro in
altre parti del corpo.
Mentre in uno dei primi studi clinici, nella fase 2 di uno studio clinico della GW Pharmaceuticals su 21 pazienti affetti da glioblastoma
multiforme, una forma aggressiva di cancro al cervello, in cui si
stanno utilizzando i cannabinoidi in aggiunta al trattamento
chemioterapico temozolomide, i pazienti hanno avuto una percentuale di sopravvivenza dell’83% rispetto al 53% del placebo, con una differenza quindi del 30%.
Altre patologie ed effetti benefici
I ricercatori dell’unità clinica di Psicofarmacologia dello University
College of London hanno dimostrato le potenzialità del CBD nel contrastare la dipendenza da nicotina. In uno studio pubblicato Pharmacology Biochemistry and Behavior, i ricercatori hanno concluso che il CBD potrebbe essere utilizzato per scongiurare danni cerebrali indotti dall’alcool, mentre ricercatori della Mount Sinai School of Medicine di New York hanno scoperto che può impedire l’accumulo di grassi provocato dall’alcool nel fegato
prevenendo la steatosi epatica, patologia che nel tempo può portare a
epatite e cirrosi. Secondo ricercatori del dipartimento di Farmacologia
dell’Università King Faisal di Al-Ahsa: “Il cannabidiolo potrebbe
rappresentare una possibile opzione per proteggere il tessuto del fegato
dagli effetti dannosi del cadmio”.
Dalla collaborazione tra HelloMD, una community
statunitense col 150mila utenti che mette in contatto pazienti, medici,
esperti e aziende sul tema della cannabis e Brightfield Group, una società di ricerca
e analisi di mercato per le organizzazioni incentrate sull’industria
della cannabis, è nato un importante studio che ha visto la raccolta dati di 2500 membri del gruppo sull’utilizzo del CBD in ambito terapeutico.
Il fattore forse più importante è quello relativo al cambiamento nella scelta delle terapie. Di fatto dopo aver provato il CBD il 42% ha abbandonato la medicina tradizionale
per abbracciare l’uso esclusivo di prodotti ad alto contenuto di CBD.
Si tratta di persone che devono affrontare insonnia, depressione, ansia,
dolori alle articolazioni e ancora morbo di Crohn, epilessia e sclerosi
multipla. Il feedback dell’80% degli intervistati ha confermato che il CBD è “molto o estremamente efficace”, avendo proprietà analgesiche, antinfiammatorie e rilassanti, mentre il 3% lo trova “inefficace o solo leggermente efficace”.